
In quel ponte antichissimo tra Occidente e Oriente che è il Mediterraneo, si collocano le origini (abbastanza tarde rispetto a quest’ultimo) del laterizio.
È così che si chiama genericamente questo materiale artificiale che si ottiene dalla cottura di argille con quantità variabili di sabbia, ossido di ferro e carbonato di calcio, che è stato uno dei più utilizzati nella costruzione di edifici e pavimenti di epoca antica.
Il pavimento in laterizio: dall’antica Grecia a Roma
Già a partire dal III secolo a.C., i Greci compresero l’efficacia dei materiali ottenuti dalla cottura dell’argilla che si rivelarono più resistenti, economici e di rapida fabbricazione rispetto ai metodi più arcaici e originari in pietra.
Benché l’introduzione dei mattoni in argilla cotta non ebbe rilevanti conseguenze rispetto agli aspetti quantitativi dell’architettura ellenistica, ha posto, sotto il profilo storico e tecnologico, le premesse di un progresso che avrebbero conseguito di lì a poco gli antichi Romani.
La nuova potenza mediterranea, infatti, utilizzò il laterizio in larga scala sia come intonaco impermeabilizzante sia come superficie funzionale e ornamentale per pavimentazioni d’interni, sviluppando quel repertorio decorativo semplice ma raffinato arrivato, a volte quasi intatto, fino ai giorni nostri.
Agli inizi del I secolo d.C., il laterizio inizia la sua grande ascesa all’interno dell’architettura imperiale romana e molti ambienti domestici e spazi pubblici, furono pavimentati con diversi elementi laterizi come i grandi mattoni quadrati (pedali, bipedales, sesquipedales) che allestivano le superfici di botteghe, terme e anfiteatri. C’erano poi piccoli mattoncini posati a spinapesce (opus spicatum) con cui si pavimentavano porticati, anditi, cortili e spazi pubblici.
Lo stesso Vitruvio, nel libro VII del De Architectura, enuncia le corrette regole per la buona esecuzione dei pavimenti e dei sottofondi di posa e cita esplicitamente l’opus spicatum, perché di specifica ideazione romana.
Il laterizio e le sue forme in dal Rinascimento ad oggi
Tutti conosciamo i pavimenti a spina di pesce rinvenuti nella Villa Adriana a Tivoli, a Ostia e in molte altre città anche fuori dall’agro romano (Bologna, Faenza, Pompei, Venosa sono per citare alcuni esempi). Grazie all’efficacia del dispositivo geometrico di posa tale schema si è mantenuto vivo fino agli interventi contemporanei.
Sia pur in minor quantità, si rintracciano in epoca romana redazioni pavimentali più articolate e ricercate con impiego di elementi in cotto a formati diversificati, l’accostamento di paste argillose a cromie variate, il trattamento dei campi figurati con elementi a ritaglio.
Queste linee di approfondimento rappresentano i nuovi indirizzi progettuali che le fasi storiche successive, soprattutto l’età rinascimentale, esploreranno con maggiore sistematicità arricchendo, alla fine, il repertorio delle soluzioni dell’Antico, in grado comunque già di garantire il proseguimento di quella che, in oltre due millenni di storia, si è costituita come la tradizione tipicamente italiana dei pavimenti in cotto.